Raramente scrivo di politica, ma questa volta non si tratta di prendere posizioni dall'una parte contro l'altra parte, bensì difendere il nostro paese e il nostro popolo da politicanti e tecnici. Come in guerra, noi italiani siamo rimasti vittime del fuoco amico, sparato dai "tecnici", assecondati dai ladroni politici che ci hanno attirati nell'imboscata. Gli altri alleati di questa combriccola assassina sono capitanati dal nano capoccione di Parigi o dal culetto stretto tedesco, anche se la mano occulta che ci ha spinti allo scoperto ha il guanto a stelle e striscie. E così ci ritroviamo con una nazione ancora di più affossata, dove sono aumentate le tasse al posto di ridurre gli sprechi, ma il loro interesse era salvare la Casta!!!
Morale della favola: alla fine la nostra crescita sarà ampiamente negativa, si abbasserà la domanda di consumo sia di investimento, aumenterà a dismisura la disoccupazione; i rapporti tra cittadino e stato finiranno al macero, la pressione fiscale sarà intollerabile e per reazione aumenterà l'evasione; gongoleranno i vicini francesi per l'aumento del loro turismo marittimo, gli svizzeri perchè ingrasseremo la loro economia; l'inflazione schizzerà alle stelle, i circuiti bancari non sapranno più dove racimolare soldi; i grossi risparmiatori sceglieranno lidi lontani, i piccoli rimpingueranno il materasso per non esibire il collo alla scure del fisco, ma, soprattutto all'occhio del grande fratello; le libertà sono scese dall'attico al marciapiedi, ormai si vive nel terrore, manca solo che si istituisca la tassa sull'aria che si respira, ma soprattutto l'italiano non sopporterà più che lo Stato, dopo aver cacciato la mano nelle sue tasche, pretenda anche di sapere come viene speso ciò che ha dimenticato di rapinargli.
Aspettiamo con trepidazione il predicozzo che ci verrà impartito per le feste dal Colle, mano sul cuore e avvolti dal tricolore, che noi tutti d'ora in poi useremo come un sudario. Ma il Professore e i suoi colleghi hanno dimenticato il terzo principio della Dinamica che, ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria e che esistono conseguenze istintive alle azioni intenzionali: la saggezza che manca a questo governo è il non averne tenuto conto.
A tutto ciò ci hanno portato i ladroni della famosa Casta, che pur non mollando neanche una briciola del loro bottino hanno continuato a rubare anzichè fare il lavoro loro richiesto, cioè governare; il guaio è che non basta non lavorare o non governare, bisogna anche smettere di rubare ed impedire che il non governo abbandoni le briglie della spesa e porti il debito pubblico ai livelli di oggi: non ci resta che piangere, nella speranza che un giorno noi si sorrida e che a piangere siano i veri parassiti dell'Italia!
Opinione, cultura e stile di vita. Riflessioni coerenti per una efficace crescita personale. Appunti raccolti su un foglio di carta stropicciato ... on line ... il blog ufficiale di Carmine Misiano
mercoledì 21 dicembre 2011
Ci hanno sistemati per le Feste!
domenica 20 novembre 2011
Non si è grandi perchè ci si crede superiore agli altri...
Nell’ultimo periodo mi sono ritrovato dinanzi a tante situazioni, anche delicate, ed a doverle trattare con la dovuta attenzione, nei tempi e nei modi più corretti, risolvendole totalmente o in parte, alcune positivamente, altre negativamente, alcune con soddisfazione, altre con rammarico. Tutte mi hanno fatto riflettere molto, una che mi è rimasta impressa si è conclusa con una battuta gratificante di una persona a me vicina che mi disse ”sei un grande!”.
Mi sono soffermato molto su questa frase e sul concetto di grandezza soprattutto in relazione ai vari eventi ed alle varie vicessitudini recentemente vissute.
A tal proposito, vorrei ricordare, a me stesso per primo e poi a tutti coloro che sognano di essere grandi, che non ci si deve credere grandi per aver raggiunto chissà quale eccellente risultato in qualunque cosa ci si è coinvolti, ma sono coloro che ci circondano, che apprezzano o criticano il nostro operato, i soli accreditati a riconoscerci come tali, e questo basandosi principalmente sulle nostre qualità, sul lavoro, l'umiltà, la tolleranza ed il senso di dovere che ci contraddistinguono singolarmente.
Si è grandi non perché si sia superiori agli altri, ma perché si è in grado di aiutarli, guidarli, volergli bene e stargli vicino.
Si è grandi se sappiamo meritare la posizione da noi raggiunta accompagnando nella loro crescita quanti ci seguono, elargendo a piene mani conoscenza, benevolenza e saggezza.
Non mi sono sentito compiaciuto dell’estemporanea manifestazione dell’amico nei miei confronti, ma in quel momento mi sono sentito soddisfatto per aver raggiunto l'obiettivo che mi ero prefissato col mio interlocutore.
Mi sono soffermato molto su questa frase e sul concetto di grandezza soprattutto in relazione ai vari eventi ed alle varie vicessitudini recentemente vissute.
A tal proposito, vorrei ricordare, a me stesso per primo e poi a tutti coloro che sognano di essere grandi, che non ci si deve credere grandi per aver raggiunto chissà quale eccellente risultato in qualunque cosa ci si è coinvolti, ma sono coloro che ci circondano, che apprezzano o criticano il nostro operato, i soli accreditati a riconoscerci come tali, e questo basandosi principalmente sulle nostre qualità, sul lavoro, l'umiltà, la tolleranza ed il senso di dovere che ci contraddistinguono singolarmente.
Si è grandi non perché si sia superiori agli altri, ma perché si è in grado di aiutarli, guidarli, volergli bene e stargli vicino.
Si è grandi se sappiamo meritare la posizione da noi raggiunta accompagnando nella loro crescita quanti ci seguono, elargendo a piene mani conoscenza, benevolenza e saggezza.
Non mi sono sentito compiaciuto dell’estemporanea manifestazione dell’amico nei miei confronti, ma in quel momento mi sono sentito soddisfatto per aver raggiunto l'obiettivo che mi ero prefissato col mio interlocutore.
sabato 12 novembre 2011
La percezione del bello
Un profondo desiderio e forte rispetto per il bello sono stati sempre predominanti nella cultura e nei sentimenti umani, sia perchè il bello è piacevole per i sensi, sia per lo status symbol che ad esso viene associato. Sin dai tempi antichi, la bellezza è apparsa come una delle principali preoccupazioni e oggetto di discussioni filosofiche. Oggi l'estetica, che tradizionalmente può essere intesa come lo studio razionale del bello, è sempre più presente nei diversi campi della conoscenza umana. Certo, gli elementi per valutare la bellezza umana sono influenzati dalla cultura, dalla moda, dalle emozioni, dall'età e dalla storia individuale, ma le linee geometriche generali di un volto, che dano origine alla percezione della bellezza, possono essere universali, indipendenti da razza, religione, paese e cultura, essendo sensibili a istinti umani fondamentali e a preferenze innate. Indipendentemente dai settori scientifici, parlare di estetica, di bellezza e di bello ci porta sempre a parlare dei nostri sentimenti. Noi siamo più generosi con il bello piuttosto che col brutto, così come siamo più generosi verso tutti coloro che ci danno piacere, indipendentemente dall'intenzione. Questo avviene in maniera inconscia, essendo un fattore intrinseco nell'essere umano, anche come istinto, perchè bello quasi sempre significa sano e buono.
venerdì 11 novembre 2011
"Il grido del gabbiano"
"Ci vorrebbe un amico"… cantava Antonello Venditti, ma "in questo mondo di ladri"… ci vorrebbe una guardia per ogni italiano, per ognuno di noi!
Siamo geneticamente… “maleducati”!!!
E la colpa non è certo di Silvio Berlusconi!
Il premier italiano altro non è che la massima espressione del suo popolo: un popolo che, non dimentichiamolo mai, lo ha eletto a capo del governo per quasi un ventennio!!!
Un popolo che dalla caduta dell’Impero Romano non si è mai ripreso ed è rimasto sempre 'sotto botta' dello straniero!
Se lasciati soli e senza alcun controllo, con qualcuno che sappia prendere in mano le redini della situazione, siamo capaci di arrivare a toccare davvero il fondo, financo a dilapidare l’eredità dei nostri padri: l’Unità d’Italia, la Democrazia, la Libertà, il Welfare!
Siamo rimasti tutti col grembiulino, il fiocco e il cestino... eterni scolaretti che quando la maestra si assenta per un attimo dalla classe si scatenano e, poi, non appena rientra in aula… tutti allineati e coperti!
Una cosa è certa, non siamo un popolo in grado di governarci autonomamente!
Siamo un popolo ‘maleducato’, afflitto da un enorme debito:
economico, politico, etico.
Il nostro ‘deficit di educazione civica’ è ancor più schiacciante del 'debito sovrano'!!!
Per ognuno di noi servirebbe un carabiniere, un finanziere, un vigile urbano!
Ma noi siamo 60milioni, e loro, “le guardie” - imboscati a parte - appena qualche migliaio!
Se lasciati soli, senza controllo, siamo capaci di gettare le cartacce in terra, di passare col semaforo rosso, di non rilasciare lo scontrino, di saltare la fila alle Poste, di rubare il dentifricio al supermercato… ma se c’è 'la guardia', qualcuno che vigila e controlla, bè, allora, ci trasformiamo in agnellini!
Siamo un popolo che non è cresciuto abbastanza e che alla prima occasione si divide e cambia cavallo. Ognuno di noi si rinchiude nel proprio orticello, 'secessionando' dal più debole, dal perdente, confidando così di potersela cavare per conto proprio, magari saltando sul carro del prossimo vincitore!!!
E’ pur vero che la nostra è una democrazia ancora troppo giovane e per questo fragile - veniamo dalle dominazioni austriache, francesi, borboniche e a tutt’oggi lo Stato Pontificio, gli Stati Uniti d’America, l’Europa e tra non molto i cinesi, ci tengono in pugno - ma è altrettanto vero che come popolo non abbiamo mai ‘osato’ crescere.
Siamo il popolo dei 'furbetti del quartierino', degli 'amici di merende', sempre pronti a scaricare le nostre colpe sul politico di turno che, guarda caso, nessuno ammette di aver mai voluto, né mai votato: Mussolini prima, Craxi-Andreotti-Forlani poi, Berlusconi oggi! E domani?
Come l’ebreo errante, aspettiamo ancora il Messia, l’uomo della provvidenza, l'uomo forte che ci tolga dai guai!
Chissà se cresceremo mai!? Chissà se saremo abbastanza ‘popolo’ da restare uniti e liberi, senza essere… ‘commissariati’!?
(Anonimo)
Siamo geneticamente… “maleducati”!!!
E la colpa non è certo di Silvio Berlusconi!
Il premier italiano altro non è che la massima espressione del suo popolo: un popolo che, non dimentichiamolo mai, lo ha eletto a capo del governo per quasi un ventennio!!!
Un popolo che dalla caduta dell’Impero Romano non si è mai ripreso ed è rimasto sempre 'sotto botta' dello straniero!
Se lasciati soli e senza alcun controllo, con qualcuno che sappia prendere in mano le redini della situazione, siamo capaci di arrivare a toccare davvero il fondo, financo a dilapidare l’eredità dei nostri padri: l’Unità d’Italia, la Democrazia, la Libertà, il Welfare!
Siamo rimasti tutti col grembiulino, il fiocco e il cestino... eterni scolaretti che quando la maestra si assenta per un attimo dalla classe si scatenano e, poi, non appena rientra in aula… tutti allineati e coperti!
Una cosa è certa, non siamo un popolo in grado di governarci autonomamente!
Siamo un popolo ‘maleducato’, afflitto da un enorme debito:
economico, politico, etico.
Il nostro ‘deficit di educazione civica’ è ancor più schiacciante del 'debito sovrano'!!!
Per ognuno di noi servirebbe un carabiniere, un finanziere, un vigile urbano!
Ma noi siamo 60milioni, e loro, “le guardie” - imboscati a parte - appena qualche migliaio!
Se lasciati soli, senza controllo, siamo capaci di gettare le cartacce in terra, di passare col semaforo rosso, di non rilasciare lo scontrino, di saltare la fila alle Poste, di rubare il dentifricio al supermercato… ma se c’è 'la guardia', qualcuno che vigila e controlla, bè, allora, ci trasformiamo in agnellini!
Siamo un popolo che non è cresciuto abbastanza e che alla prima occasione si divide e cambia cavallo. Ognuno di noi si rinchiude nel proprio orticello, 'secessionando' dal più debole, dal perdente, confidando così di potersela cavare per conto proprio, magari saltando sul carro del prossimo vincitore!!!
E’ pur vero che la nostra è una democrazia ancora troppo giovane e per questo fragile - veniamo dalle dominazioni austriache, francesi, borboniche e a tutt’oggi lo Stato Pontificio, gli Stati Uniti d’America, l’Europa e tra non molto i cinesi, ci tengono in pugno - ma è altrettanto vero che come popolo non abbiamo mai ‘osato’ crescere.
Siamo il popolo dei 'furbetti del quartierino', degli 'amici di merende', sempre pronti a scaricare le nostre colpe sul politico di turno che, guarda caso, nessuno ammette di aver mai voluto, né mai votato: Mussolini prima, Craxi-Andreotti-Forlani poi, Berlusconi oggi! E domani?
Come l’ebreo errante, aspettiamo ancora il Messia, l’uomo della provvidenza, l'uomo forte che ci tolga dai guai!
Chissà se cresceremo mai!? Chissà se saremo abbastanza ‘popolo’ da restare uniti e liberi, senza essere… ‘commissariati’!?
(Anonimo)
mercoledì 2 novembre 2011
Non si fa nulla da soli!
Come tutti sappiamo da sempre, non si fa nulla da soli.
Io non sono diverso dagli altri, sicuramente sono tra quelli che tirano il carro ma dipendo molto da quelli che vivono con me ogni giorno. Ci sono alcuni, comunque, di quelli che ci attraversano la vita e la rendono intensamente più ricca, piena di colore e gusto, che hanno un posto di rilievo: alcuni in particolare sono importanti per la loro cultura, altri per lo sprone fornito e molti per l'esempio. In ogni caso si tratta di miei amici o di persone vicine, che spesso mi piace ricordare. L'amicizia è qualcosa di sublime. Indipendentemente dalla frequenza con cui ci vediamo e frequentiamo, gli amici vivono in qualche modo sempre con noi. L'affetto delle persone care, e il ricordo di quelle che ci sono state accanto, va al di là di ogni possibile valore numerico. E, quando li ricordiamo, per qualche motivo, ci sembra di essere pervasi da una sensazione di calore e benessere.
Non siamo nè più nè meno che la somma dei segni che ci sono stati lasciati da persone che hanno avuto o ancora hanno un ruolo nella nostra vita!
Io non sono diverso dagli altri, sicuramente sono tra quelli che tirano il carro ma dipendo molto da quelli che vivono con me ogni giorno. Ci sono alcuni, comunque, di quelli che ci attraversano la vita e la rendono intensamente più ricca, piena di colore e gusto, che hanno un posto di rilievo: alcuni in particolare sono importanti per la loro cultura, altri per lo sprone fornito e molti per l'esempio. In ogni caso si tratta di miei amici o di persone vicine, che spesso mi piace ricordare. L'amicizia è qualcosa di sublime. Indipendentemente dalla frequenza con cui ci vediamo e frequentiamo, gli amici vivono in qualche modo sempre con noi. L'affetto delle persone care, e il ricordo di quelle che ci sono state accanto, va al di là di ogni possibile valore numerico. E, quando li ricordiamo, per qualche motivo, ci sembra di essere pervasi da una sensazione di calore e benessere.
Non siamo nè più nè meno che la somma dei segni che ci sono stati lasciati da persone che hanno avuto o ancora hanno un ruolo nella nostra vita!
sabato 11 giugno 2011
"La corsa dell'ultima estate" di Saverio Pazzano
E' con estremo piacere partecipare anche sul mio blog tutti i lettori della presentazione di questo meraviglioso libro. L'evento si svolgerà Lunedì 13 Giugno alle ore 19.00 alla libreria "Culture" di Reggio Calabria.
Qui si racconta un'estate che corre, alla velocità di un ragazzo che vuole diventare adulto. Per un errore al binario un uomo arriva da Napoli a Reggio Calabria, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso. Nonno e nipote si tramandano l'eredità di questa confusione, una memoria antica e misteriosa che promette un buon futuro. In mezzo la saggezza dei pescatori, l'urgenza dell'amore, occhi che incantano, la chiamata della vita in un'età di costruzione.
E' una sfida faticosa diventare grandi, un'ostinata prova di libertà, uno sforzo nobile: occorre scegliere chi essere. E dove vivere.
Qui si racconta un'estate che corre, alla velocità di un ragazzo che vuole diventare adulto. Per un errore al binario un uomo arriva da Napoli a Reggio Calabria, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso. Nonno e nipote si tramandano l'eredità di questa confusione, una memoria antica e misteriosa che promette un buon futuro. In mezzo la saggezza dei pescatori, l'urgenza dell'amore, occhi che incantano, la chiamata della vita in un'età di costruzione.
E' una sfida faticosa diventare grandi, un'ostinata prova di libertà, uno sforzo nobile: occorre scegliere chi essere. E dove vivere.
Il secondo tempo
Molti si chiederanno "perche' un nuovo blog?": beh, e' una domanda che mi sono posto anch'io quando ho pensato per la prima volta di costruirlo. Ne ho gia' fatti tre, con interessi ed argomenti diversi, in altri periodi della mia vita, non molto lontani ma con prospettive di vista diverse da oggi, erano pensieri in costruzione, messaggi rivolti ad altri obiettivi, con altro tipo di finalita'. Si scriveva di emozioni rampanti, di obiettivi da raggiungere, di soddisfazioni personali o professionali. Non voglio apparire come colui che ha raggiunto la propria maturita', credo che nella vita non si finisce mai di imparare, sicuramente alla soglia dei 40 anni, sento di intraprendere un nuovo periodo temporale della mia vita: come lo definirebbe qualcuno, un secondo tempo. E' con questa consapevolezza che ho intrapreso questa iniziativa, convinto di avere nuovi argomenti da trattare o gli stessi di un tempo ma con un punto di vista e riflessione diversi.
venerdì 10 giugno 2011
Un viaggio nel viaggio
L'esperienza del viaggio è qualcosa che sta tra la vita quotidiana, il nostro passato, e un desiderio di futuro che può contenere tante cose: speranze, intenti, aspettative, ma anche ricongiungimento con quell'Uno primordiale che abbiamo perduto. Il viaggio è un divenire fra la contingenza dell'oggi, il tempo mitico delle storie di ieri e l'epica del ritorno.
Il vero scopo di un viaggio dovrebbe essere sempre quello di cogliere lati nuovi e sorprendenti del mondo. Abituarsi ad essere liberi, acquisire l'elasticità mentale per analizzare poi meglio le situazioni e gli accadimenti quotidiani. Significa sporcarsi con il fango della vita, ma anche conquistare un pò del costrutto divino che ci offre l'inconosciuto.
Ogni tragitto, però, per essere davvero compiuto, deve contemplare anche un ritorno. Il ritorno è un desiderio di responsabilità, ma contiene anche quel sentimento pieno di inganno che è la nostalgia: illudersi di trovare al rientro le cose intatte. Per questo il ritorno può dirsi compiuto solo quando è stato sublimato e metabolizzato ciò che abbiamo incontrato di nuovo.
Il vero scopo di un viaggio dovrebbe essere sempre quello di cogliere lati nuovi e sorprendenti del mondo. Abituarsi ad essere liberi, acquisire l'elasticità mentale per analizzare poi meglio le situazioni e gli accadimenti quotidiani. Significa sporcarsi con il fango della vita, ma anche conquistare un pò del costrutto divino che ci offre l'inconosciuto.
Ogni tragitto, però, per essere davvero compiuto, deve contemplare anche un ritorno. Il ritorno è un desiderio di responsabilità, ma contiene anche quel sentimento pieno di inganno che è la nostalgia: illudersi di trovare al rientro le cose intatte. Per questo il ritorno può dirsi compiuto solo quando è stato sublimato e metabolizzato ciò che abbiamo incontrato di nuovo.
martedì 19 aprile 2011
I giovani ed il futuro dubbio
Oggi i giovani non vedono futuro, non hanno sbocchi, perchè è l'intero paese che non ne ha o ne ha pochissimi dopo oltre 20 anni di crescita pressochè nulla. Non è cresciuto adeguatamente il famoso Pil, ma soprattutto non sono cresciute abbastanza innovazione, infrastrutture, formazione, ...e chi più ne ha più ne metta. Siamo fermi a 20, forse 30 anni fa, mentre il mondo nel frattempo ha camminato intorno a noi, a volte ha addirittura corso. In tutto questo i giovani sono ulteriormente svantaggiati perchè sono l'anello più debole di un sistema immobile nel quale faticano ad entrare. Chi può permetterselo ed è in gamba va all'estero, questo sì, ma il problema è un altro: se non possiamo negare che i migliori vadano all'estero, non dobbiamo nemmeno tralasciare che lo fanno quasi nelle stesse proporzioni degli altri giovani europei, solo che noi in Italia non sappiamo attirare gli stranieri e quindi il saldo tra giovani che escono e che entrano nel nostro paese è negativo. E, aggiungo, il dato peggiora considerando che i nostri talentuosi espatriati difficilmente tornano. Quindi, piuttosto che preoccuparci dei giovani dotati che letteralmente volano via, cosa che in un economia globale è normale, dovremmo preoccuparci del ben poco appeal che l'Italia ha nei confronti dei giovani stranieri e dei nostri in fase di rientro, un capitale umano di cui avremmo tanto bisogno.
Cosa fare? Semplice: dobbiamo cambiare il paese, la nostra mentalità; si dovrebbe cominciare dalle piccole cose, per esempio responsabilizzazione e meritocrazia. Cominciamo a far dialogare il mondo della scuola/formazione con la società civile, le aziende e l'economia; colmiamo quello scollamento e quell'incomunicabilità tra questi ambiti, perchè solo così giovani e meno giovani avranno un futuro!
Cosa fare? Semplice: dobbiamo cambiare il paese, la nostra mentalità; si dovrebbe cominciare dalle piccole cose, per esempio responsabilizzazione e meritocrazia. Cominciamo a far dialogare il mondo della scuola/formazione con la società civile, le aziende e l'economia; colmiamo quello scollamento e quell'incomunicabilità tra questi ambiti, perchè solo così giovani e meno giovani avranno un futuro!
lunedì 11 aprile 2011
Liberi di essere...
Una bella sensazione: viaggiare in auto, con la musica ad alto volume, su strade che sembrano dirigersi verso un tramonto, in calde giornate, costeggiando spiagge soleggiate, bagnate da un mare ora calmo, ora impetuoso, o sotto la pioggia battente, a girare per le vie della città, con la mente che vaga da sola, assorta nei suoi pensieri, sensazioni difficili anche da spiegare, mentre tutto ciò che la circonda è solo una cornice di cose da contemplare per cercare di carpire, da ognuna di esse, l'essenza bella, di cose passate o fittizie, che ti fanno stare bene.
Sembrano belle scene di films americani, sulle strade di Los Angeles, di Miami, di New York, in cui la musica non è altro che la colonna sonora di una scena muta.
Ci sono momenti in cui essere da soli ed isolarsi fa stare bene e fa sentire la bellezza di essere liberi da ogni cosa, liberi di poter dire, fare, pensare...
Un bel concetto da approfondire, la libertà. Una cosa di cui ognuno di noi sente il bisogno, e che si apprezza sempre di più con l'aumentare delle esperienze viste e vissute giorno dopo giorno nelle nostre ed altrui esistenze.
Non sono discorsi filosofici, ma pensieri comuni che spesso passano inconsciamente nella mente di tante persone, ma che ogni tanto fanno soffermare a riflettere molti dei tanti.
Sembrano belle scene di films americani, sulle strade di Los Angeles, di Miami, di New York, in cui la musica non è altro che la colonna sonora di una scena muta.
Ci sono momenti in cui essere da soli ed isolarsi fa stare bene e fa sentire la bellezza di essere liberi da ogni cosa, liberi di poter dire, fare, pensare...
Un bel concetto da approfondire, la libertà. Una cosa di cui ognuno di noi sente il bisogno, e che si apprezza sempre di più con l'aumentare delle esperienze viste e vissute giorno dopo giorno nelle nostre ed altrui esistenze.
Non sono discorsi filosofici, ma pensieri comuni che spesso passano inconsciamente nella mente di tante persone, ma che ogni tanto fanno soffermare a riflettere molti dei tanti.
giovedì 31 marzo 2011
L'Aurora, un segno.
“In questo libro troviamo all’opera un «essere sotterraneo», uno che perfora, scava, scalza di sottoterra. Posto che si abbia occhi per un tale lavoro in profondità, lo si vedrà avanzare lentamente, cautamente, delicatamente implacabile, senza che si tradisca troppo la pena che ogni lunga privazione di luce e d’aria comporta; lo si potrebbe dire perfino contento del suo oscuro lavoro. Non sembra forse che una fede gli sia di guida e una consolazione lo compensi? Vuol forse avere la sua propria lunga tenebra, il suo mondo incomprensibile, occulto, enigmatico, perché avrà anche il suo mattino, la sua liberazione, la sua aurora?... Certamente tornerà indietro: non chiedetegli che cosa cerca là sotto, ve lo dirà lui stesso, questo apparente Trofonio ed essere sotterraneo, quando sarà «ridiventato uomo». Si disimpara completamente a tacere, quando si è stati così a lungo, come lui, una talpa”.
È da questa nobile verità nietzschiana che muove la mia riflessione. Non a caso questo aforisma appartiene all’opera con cui Nietzsche si avvia verso quella “guarigione” che viene a coincidere con la sua perfetta maturità: “Aurora” appunto.
Scientificamente l’aurora è il chiarore che precede la nascita del sole. Ma simbolicamente, nel problema complessivo del senso dell’esperienza umana, qual è la sua espressione autentica?
La mia risposta è la seguente: l’aurora è un segno quindi una relazione. Perché possa instaurarsi una relazione segnica (un rimando segnico) bisogna che una qualche qualità sensibile incarnata in un fatto assomigli a un altro fatto, lo faccia per così dire “venire in mente” evocandolo simbolicamente, cioè diventando di fatto un indice della sua presenza significata. Per esempio: le nuvole annunciano la pioggia. L’aurora annuncia la rinascita. Essa dunque appartiene all’esperienza non comune e totale dell’iniziazione. I padri della nostra cultura ne faranno esperienza prima di conseguire l’immortalità. Socrate scenderà al Pireo; Dante negli inferi: viaggio catartico che lo porterà alla visione della verità; Nietzsche sprofonda nell’oscurità della conoscenza metafisica per poi raggiungere la conoscenza autentica.
L’iniziazione è un percorso. A ogni latitudine, in ogni compagine religiosa le iniziazioni hanno un inizio, un ingresso, e poi tappe successive; e una fine: l’uscita. Ricostituito, “nato”, l’iniziato esce: è adulto, compagno di adulti, guerriero.
L’esercizio iniziatico è intrinseco alla nostra natura umana: l’uomo dopo la caduta ne è violentemente scaraventato. Ma ne è conscio? Qual è la via che riporta all’aurora della nostra esistenza? Da qui il paradosso umano: se sulla Terra tutto fosse sensato allora nulla accadrebbe.
Pertanto vorrei illustrarvi un esempio – senza tediarvi – che interessa l’esperienza umana.
Una mattina dell’anno domini 1321 un giovane monaco percorreva, assorto in meditazione e preghiera, il piccolo chiostro del convento di Santa Maria di Ripoll in Catalogna, annesso alla splendida cattedrale. È difficile immaginare un uomo più di lui immerso in un concentrato di innumerevoli segni. Già l’orientamento del chiostro nello spazio, secondo i punti cardinali, evoca l’alternarsi sulle sue pietre delle luci del giorno e della notte, il cammino del sole e della luna, il succedersi delle costellazioni celesti e poi, scolpite sui capitelli del colonnato, ecco ogni genere di figure realistiche o simboliche: uomini, donne, animali, esseri allegorici e mitologici, fiori e piante, angeli e diavoli, mestieri e ordini sociali… una selva di innumerevoli segni che compongono un intricato universo di significati; esso si apre di continuo allo sguardo deambulante del monaco, unitamente alle parole che egli sussurra e borbotta pregando e alzando di quando in quando il capo a rimirare le stazioni del suo cammino circolare. Ogni giorno compie più volte questo percorso, sia in ore stabilite sia no, all’alba e al tramonto, nel pomeriggio e nel cuore della notte, in ogni stagione dell’anno e ogni anno, per molti e molti anni, finché morte non lo arresti.
Cosa vedeva il monaco nelle sue deambulazioni? L’accento posto sulla parola “vedere” non è casuale, poiché noi anzitutto cerchiamo di comprendere le prime radici del “sentire”: l’origine e il costituirsi dei segni primordiali dell’esperienza.
Cercheremo di comprendere cosa il nostro ipotetico fraticello vedeva e come, seguendo le intuizioni e le straordinarie scoperte di Marius Schneider, massimo etnomusicologo del ‘900. Ma intanto si osservi: “l’ipotetico fraticello” è tale solo per noi, perché i frati di quel convento furono e sono assolutamente reali. Non c’è dubbio infatti che in una qualunque mattina del 1321, poniamo nel giorno di San Giovanni, quando la notte eguaglia il giorno, qualche giovane monaco fece e rifece il percorso del chiostro, con il suo corpo vivente, con i suoi pensieri, le sue emozioni e le sue immagini, immerso nel suo mondo. Altrettanto indubbio è che è il nostro vivere qui e ora a rievocare tutto ciò e a farlo rinascere nel proprio mondo, partendo dalla immagine di un chiostro evocata da un libro di Schneider “Pietre che cantano”: vita nostra insieme partecipe di innumerevoli vite altre; sicché la biografia fantastica del monaco di cui parliamo è nel contempo un tratto della nostra reale autobiografia.
Schneider sapeva che il chiostro medievale è un microcosmo, una immagine reduplicata e simbolica del mondo; che la successione delle figure dei capitelli non è casuale, ma allude al percorso del sole e della luna, al succedersi dei giorni, delle settimane e dei mesi dell’anno, seguendo anche i segni zodiacali in cielo e il rincorrersi delle stagioni in terra; e che inoltre le figure registrano spesso le principali feste liturgiche e quelle proprie del singolo monastero, dei suoi santi e martiri protettori. L’orientamento stesso della costruzione del chiostro, il suo collocarsi e dispiegarsi nello spazio e nel tempo del calendario, obbediva a ragioni e a precise scelte simboliche. Ogni monastero, si potrebbe anche dire, è un cordone ombelicale che collega la terra e il cielo. Ne deriva che il cammino circolare del monaco nel chiostro non è una passeggiata a fini di svago ma è un percorso rituale o simbolico, un cammino iniziatico e purificatore: è il nostro viaggio!
Schneider scoprì che gli animali rappresentavano note musicali. Le pietre cantavano, a saperle leggere, melodie precise. Bisogna udirle le cattedrali. Rappresentano l’urlo primordiale, il Verbo creatore, il vagito del cosmo. Le statue sono mute, essendo fatte di materia inerte. Ma non dobbiamo dimenticare che sono copie di esseri viventi, la cui più alta e intensa manifestazione si esprime nella lingua della danza e del canto. L’avvenimento centrale di ogni rituale è acustico: la parola rende efficace l’azione.
Questa raggiunta coscienza è propriamente un’esperienza “filosofica”, una messa in opera del soggetto praticante. Ognuno di noi canta e racconta il mondo a partire dal proprio evento e in base alla prospettiva che lo caratterizza. Questa attitudine è una pedagogia – un percorso formativo appunto – è un’etica che mostra lo stare nel mondo. Ritengo questa l’ intenzione più vera del nostro cammino: si tratta di assumere l’abito nella forma della responsabilità. Se ogni individuo non riesce ad essere un esercizio formativo allora è maschera cattiva che ha fallito il suo scopo.
Con il coraggio che contraddistingue Nietzsche bisognerebbe andare fino in fondo alla questione della nostra verità: ciò che dovremmo proporci è una sostanziale e concreta coerenza di pensiero e di vita ossia non smettere di pensare la verità come un progetto e il senso come un impegno costante rivolto al possibile futuro: per conquistare il nostro mattino, la nostra liberazione, la nostra aurora.
La Rosa pensante
lunedì 28 marzo 2011
Un saluto ai miei lettori
Cari lettori,
l'idea del blog ormai è un'idea superata: sono passati tanti anni dalla creazione del mio primo spazio su rete che mi consentiva di diffondere le mie idee, di parlare del mio lavoro, di descrivere e manifestare le mie emozioni. Nonostante tutto, dopo tanto tempo e dopo tanti altri spazi come questo, utilizzati sempre con un indirizzo ben preciso, e dopo tante altre forme di comunicazione sociale, dal sito internet professionale al social network più variegato, ho avuto l'esigenza di ricrearmi un angolo di scrittura e di confronto per affrontare argomentazioni e discussioni diverse rispetto al sito web e un pò più seriose ed intime rispetto al fenomeno Facebook o Twitter che sia.
Spero di coinvolgere i miei lettori con argomenti di varia natura che possano stuzzicare la loro curiosità, cercando sempre di non essere vicino a posizioni particolari o di parte in genere, come d'altronde ho sempre manifestato e osservato.
Buona Lettura.
C.M.
l'idea del blog ormai è un'idea superata: sono passati tanti anni dalla creazione del mio primo spazio su rete che mi consentiva di diffondere le mie idee, di parlare del mio lavoro, di descrivere e manifestare le mie emozioni. Nonostante tutto, dopo tanto tempo e dopo tanti altri spazi come questo, utilizzati sempre con un indirizzo ben preciso, e dopo tante altre forme di comunicazione sociale, dal sito internet professionale al social network più variegato, ho avuto l'esigenza di ricrearmi un angolo di scrittura e di confronto per affrontare argomentazioni e discussioni diverse rispetto al sito web e un pò più seriose ed intime rispetto al fenomeno Facebook o Twitter che sia.
Spero di coinvolgere i miei lettori con argomenti di varia natura che possano stuzzicare la loro curiosità, cercando sempre di non essere vicino a posizioni particolari o di parte in genere, come d'altronde ho sempre manifestato e osservato.
Buona Lettura.
C.M.
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