giovedì 3 marzo 2016

Il dentista nell'antichità

"Quando i denti cominciano a tentennare, per una botta o un altro incidente, devono essere fissati con filo d’oro a un dente ben fermo", raccomandava il medico romano Celso, che solo in casi estremi consigliava l’estrazione. Se i denti marcivano o facevano troppo male e quindi occorreva, per forza, toglierli si sostituivano con denti d’avorio o addirittura realizzati attraverso la lavorazione di denti animali. Le otturazioni infatti non venivano eseguite. Sin dal tempo delle leggi delle Dodici Tavole nell’antica Roma vigeva il divieto di inserire nei sepolcri oggetti d’oro. Unica eccezione per quelle che potremmo chiamare le "dentiere", i fili d’oro che si adoperavano, appunto, per fissare i denti. Il lavoro del proprio dentista, insomma, pur essendo d’oro, poteva accompagnare il morto nel suo viaggio ultraterreno. Dalle tombe romane, tuttavia, non sono giunti moltissimi scheletri con capsule d’oro o dentiere. La spiegazione potrebbe essere semplice: forse i nostri progenitori – che non conoscevano lo zucchero e dolcificavano il loro cibo con il miele – ebbero in media denti molti più sani di noi. I Romani impararono le tecniche di intervento sui denti dagli Etruschi, che già nel VII sec. a.C. sapevano realizzare ponti e stabilizzare denti vacillanti con i fili d’oro. Questo perché nell’odontoiatria gli Etruschi misero in pratica tutta la loro incontrastata abilità di orafi. Sono giunti sino a noi teschi con protesi dentarie la cui accurata fattura riesce a stupire i moderni dentisti. 
                                   
Al Museo Nazionale di Tarquinia ad esempio sono presenti ancora due protesi dentarie eseguite con l’ausilio di una sottile lamina d’oro. La prima è costituita da una cerchiatura che racchiude tre denti dell’arcata superiore, mentre la seconda protesi, molto più complessa, unisce alla fascia principale quattro elementi saldati al suo interno a formare cinque cellette in cui collocare i denti. In questi due casi la protesi dovevano servire a rendere saldi dei denti indebolitisi a causa di malattie o con l’avanzare dell’età. Non mancano però esemplari in cui venivano sostituiti denti mancanti. Questi ultimi non potevano, naturalmente, essere estratti a cadaveri, visto il rispetto che gli Etruschi portavano ai loro defunti, quindi erano in prevalenza ricavati da denti animali, per lo più di bue o di vitello, sagomati in modo da adattarsi perfettamente alla bocca del paziente. Nel caso di un’altra protesi tarquiniese andata perduta, il dentista aveva rimpiazzato due incisivi con un unico dente bovino inciso nel mezzo e limato nella parte superiore per adattarsi alla gengiva, bloccato da due perni. Anche in questa occasione, la protesi era stata legata ai denti superstiti mediante una fascia d’oro.

Nessun commento:

Posta un commento