domenica 24 settembre 2017

Manager si nasce o si diventa?

Manager si nasce o si diventa? Molto spesso ci si pone di fronte a questo interrogativo sperando di trovare una risposta soddisfacente. A mio giudizio, si deve partire da un altro punto di vista: quali sono le qualità che deve possedere un manager moderno?

Ci sono indubbiamente caratteristiche innate, ma ce ne sono altre che si apprendono con gli anni, con l’esperienza e la frequentazione con professionisti di alto livello. Non è mia la frase “alle volte bisogna seguire per poter guidare” e credo che sia quanto mai appropriata per esprimere questo concetto. Ci sono cinque caratteristiche che un manager dovrebbe avere nel proprio repertorio e ciascuna di esse è assolutamente indispensabile.

Il senso della disciplina è la prima in assoluto. Essere alla guida di un gruppo di lavoro è una responsabilità, ma riuscire ad autodisciplinare sé stessi è una grande qualità. Gestire il proprio tempo ed ottimizzarlo al fine di ottenere i risultati prefissati.

Essere in grado di prendere decisioni è determinante in certi momenti. I manager sono molto spesso soli a decidere di intraprendere o meno una certa strada, per questo devono essere portati all’azione e nel loro agire non devono esserci mai incertezze.

La capacità di comunicare è un’altra dote che un manager deve possedere. Poche parole devono esprimere un concetto chiaro e diretto, senza possibili interpretazioni. Questa è certamente una delle qualità più ricercate al giorno d’oggi.

Rubare con gli occhi. I nostri nonni ci hanno insegnato che per quanto noi possiamo essere furbi, ci sarà sempre qualcuno più furbo di noi. Anziché arrabbiarci di questo, dovremmo invece apprendere da chi ha da insegnare. I grandi manager sono quelli che spesso sono stati a loro volta al fianco di professionisti straordinari, dai quali hanno appreso tutto ciò che sanno.

Inutile negarlo, in un’epoca in cui l’occhio vuole decisamente la sua parte, l’abito fa il monaco eccome. Non si può transigere, infatti, dal crearsi un’immagine elegante, rassicurante, piacevole. I manager sciatti non sono considerati e non lo diciamo perché siamo classisti, ma perché è un dato di fatto. Giacca, cravatta, una bella camicia, un paio di scarpe lucide, sono tutto ciò che serve per un’impatto in grande stile. 


                 

lunedì 11 settembre 2017

Meglio felicemente stressati

Quando siamo in uno stato d'animo positivo affrontiamo meglio le fonti di stress e le difficoltà. Perché cambia la chimica del corpo: endorfine, ossitocina, serotonina e ossigeno che influenzano una percezione della realtà più ampia e attenta. Quando siamo in uno stato d'animo positivo, che non significa euforico o su di giri, ma stato d'animo calmo, sereno e lucido, comunichiamo meglio con le persone, siamo più propensi all'ascolto e soprattutto all'empatia. 
L'umore è il risultato di tre componenti: dove poni l'attenzione (focus), in che modo descrivi la realtà (significato) e in quali condizioni fisiche (fisiologia), quindi lavorando sul focus delle proprie condizioni fisiche di riesce a cambiare il modo di percepire la realtà è quindi il significato che si attribuisce agli eventi. 
Anche lo stress va affrontato nel modo giusto, perché finché lo vedi come un nemico, un ostacolo, le condizioni interne verso lo stress peggiorano, invece quando lo interpreti in positivo vivi meglio e di più, grazie ad un aumento dell'ossitocina nel sangue che genera vasodilatazione dei vasi sanguigni, calma e rigenera le cellule cardiache. 
Quando si è di buon umore si aiuta il sistema immunitario, migliora l'attenzione, la concentrazione e la memoria grazie a serotonina e dopamina. 
In conclusione, siccome lo stress non manca mai, almeno cerchiamo di renderlo positivo per vivere felicemente stressati!!!

sabato 19 agosto 2017

Attentato a Barcellona: l'analisi di Vincenzo Cotroneo

Ho deciso di scrivere e dare un mio contributo, modesto, da integrare alla già grande e robusta produzione di analisi e proiezioni forniti nella giornata di ieri, subito dopo l’attentato a Barcellona, da una moltitudine di analisti e professionisti del settore sicurezza ed intelligence.

Non sono certo all’altezza di molti che da ieri sono presenti in ogni trasmissione di approfondimento, ma qualcosa che possa andare al di la di facebook, il campo da gioco di aspiranti analisti d’assalto e altri wannabe “mi piacerebbe essere”, penso di doverla dire.

 

Cosa è successo

La Catalogna è stata oggetto di attentato terroristico. Nel pomeriggio assolato di agosto, sulla passeggiata piu caratteristica della città, rimangono falciate a terra un centinaio di persone. Meno di una quindicina non ce la faranno piu a rialzarsi, il resto è composto da feriti piu o meno gravi. Tutti sicuramente compresi coloro che non sono stati colpiti dalla folle corsa del furgone sono comunque ferite psicologicamente, che se vogliamo è il trauma con radice piu difficile da estirpare.

 

La dinamica

Quella stessa già vissuta in Francia, Belgio ed altre parti. Un furgone si lancia a piena velocità in mezzo alla folla fino a sbattere contro un palo. Un percorso in linea retta di circa 700 metri, ma condotto come una split allo scopo di colpire piu persone possibili tra i negozi ed i locali per turisti della Rambla.

Esecuzione perfetta. In stile con il calco di eventi precedenti. Minimo sforzo economico e privo di fuoco. Costo tendente al risparmio. Risultato eccellente in termini di numero di colpiti, eco mediatica, risorse utilizzate e quindi bilancia del rapporto costo beneficio nettamente favorevole .

 

Evento secondario

Qualche ora dopo, nella cittadina di Cambrils, a pochi km da Tarragona, a sud di Barcellona, un team antiterrorismo della polizia neutralizza una cellula di cinque potenziali terroristi, armati e con cinture esplosive, che alla verifica degli artificieri si dimostreranno false (quelle si che prevedono un costo relativo ed un bravo chimico che le sappia assemblare).

 

Reazioni

Sgomento e paura. Ennesima violazione della dignità umana. Ennesimo schiaffo all’Europa ed all’uomo i generale. Ennesima sfilata di messaggi di cordoglio tra i politici ed i governanti (obbligatori), ed ennesima ondata di rabbia espressa sulla rete da gente che ha paura e che si trova in piena nevrosi da guerriglia, no potendo più capire quale sia (e se vi sia) il livello di sicurezza e di normalizzazione sociale che il proprio Paese è in grado di offrire ai propri amministrati. E mentre monta la rabbia e le polemiche riguardo ciò che non si è fatto o ciò che si doveva fare (e via cosi per un po), una rivendicazione attesa arriva a sottolineare che le minacce espresse negli anni, hanno e mantengono un fondamento indipendentemente dal fatto che Al Baghdadi sia ancora vivo o meno. Cio che conta, è che sia vivo almeno un soldato per realizzare una nuova piccola parte del grande sogno panislamico del Califfato, e dei suoi sostenitori internazionali.

 

ANALISI SOCIO-STRATEGICA. 

Guida ad una geopolitica pratica

 

Una ostinata dimostrazione di normalità

Il voler dimostrare che non vi sono pericoli e che tutto deve scorrere come fosse normale, che il terrorista non può averla vinta contro le nostre abitudini sociali, che dobbiamo continuare a mantenere lo stesso livello di movimento e interazione da sempre posseduto, cozza contro la superficialità, quasi commovente, delle Amministrazioni della Catalogna, della città di Barcellona, ed in ultimo anche del governo Spagnolo.

La questione è elementare. La mancata presenza in una strada ad altissima densità turistica, di ogni fascia di età, e di ogni Paese, delle piu elementari difese passive antintrusione.

Nizza, Parigi, San Pietroburgo, giusto per citare le piu recenti, non hanno insegnato nulla. Insistiamo nel voler dimostrare alla nostra gente, la certezza della presenza di “normalità” e di gestione serena della sicurezza e della stabilità sociale nelle nostre città.  La paura che qualcuno possa sollevare la questione ponendo interrogativi ai quali non si saprebbe rispondere, ha paradossalmente portato alcuni decisori politici a nascondere la polvere sotto il tappeto, con risultati disastrosi.

Nella primavera del 2015, sui quotidiani italiani si discuteva della presenza anche in territorio catalano delle prime pattuglie di polizia islamica, la sharia police, che già aveva fatto le sue prime apparizioni in Europa all’alba del 2012/13 in Inghilterra, l’anno seguente in Svezia e Renania.

Madrid (già colpita nel 2004 pesantemente da AL Qaeda) segnalava l’esistenza di gruppi sempre piu numerosi di appartenenti alla comunità musulmana che cominciavano ad organizzarsi in proprio per la gestione della stessa “umma”, la comunità, in modo da mantenere saldo e permanente il collegamento con i Paesi d’origine e in linea con le indicazioni di gestione interna comunitaria presi dalla lettura irragionevole di Corano e Sunna (una sorta di racconto evangelico degli atti del Profeta, che copre in una certa misura i vuoti legislativi del Corano). Il rispetto, anche pubblico, delle proprie leggi e costumi, avevano portato alla creazione di una sorta di “polizia della sharia “ o del buon costume, con il compito di segnalare modalità di comportamento antisociale rispetto al dettato musulmano, ed invitando ad una ripresa dei modi medinesi (quindi ad una radicalizzazione a passo leggero ma costante), che va dal vestiario alla socializzazione, lasciando fuori dalla comunità coloro che non adeguandosi, diventano in qualche modo traditori delle proprie radici.

 

Il sottobosco censito e non delle moschee ad ispirazione salafita

Nello stesso periodo (2012-2015) si è notato, e segnalato un notevole incremento dei centri di diffusione della cultura islamica, nel nord della Spagna, tra le provincie dei Paesi Baschi e Navarra, Castiglia, Aragona e Catalogna. La corrente preponderante è quella salafita, corrente di predicazione vicino alla Fratellanza Musulmana egiziana degli anni cinquanta (già messo fuori legge in Egitto prima della rivoluzione verde) che predica il ritorno al puro conservatorismo musulmano e propaganda idee di Panislamismo (che tanto attirano finanziamenti turco/qatarioti).

Nella sola città di Barcellona sono quindi censite oltre cinquanta moschee che dirigono la vela della predicazione del venerdi su concetti sempre piu “duri e puri”, omettendo di considerare nel novero dei centri da attenzionare, tutti i circoli e centri di preghiera privati che in ogni città fioriscono tra il centro e la periferia (Tarragona e Girona nel nostro caso) in edifici abbandonati e in disuso, che vengono riadattati allo scopo.

Con la solita nota che è un centro di aggregazione sociale comunitario, omettendo (o dimenticando) di aggiungere che ogni centro culturale, oltre che Moschea, è anche il principale luogo di discussione politica e di soddisfazione sociale (ecco la ragione dei primi tribunali interni) nei quali la funzione legislativa è totalmente assolta dal testo Coranico, unica ed obbligata scelta della Comunità.

 

Barcellona città friendly…o società decadente

Il mese di febbraio di questo stesso anno, è stato significativo per capire quale fosse l’indirizzo sociale preso dalla compagine amministrativa della città e dai cittadini stessi. Una manifestazione in grande stile con poco meno di mezzo milione di persone per affermare che integrare e accogliere non solo si può, ma è un dovere.

Il senso in questo caso è da focalizzare sulla strutturazione del sovra-pensiero catalano, orientato al forte multiculturalismo, alla convivenza di culture, alla pacificazione sociale.

Il problema, come tante volte sottolineato, è che questa modalità “friendly a tutti i costi” che prevede braccia aperte, accoglienza senza richiesta di osservanza doveri, frenate agli interventi di polizia, giustificazioni ecc ecc, ha creato nel tempo, e nessuno puo negarlo, una idea di impoverimento di valori e di virilità che “l’altra parte”non ha potuto fare a meno di notare, identificandoci nei documenti trovati nei pc della varie cellule affiliati al terrore internazionale, come società decadente, incapace di determinare colpe e responsabilità, alle prese con la fobia da razzismo, incapace di reagire e pronta a farsi disastrare senza opporre resistenza. Novelli cristiani che cantano nel Colosseo mentre le belve li divorano.

Magari avranno dato fastidio a qualche romano che non li avrà visti urlare, ma la fiera li ha divorati ugualmente, intonati o meno…

 

il mito di al Andalus

Che si sappia. Il Califfato non è soltanto i territori di Raqqa o Mosul.

Non è soltanto una questione he si iscrive tra i confini turco siriani ed iraqeni, o che permane nei Paesi a influenza musulmana o di lingua araba (ed anche su questo punto andrebbero chiarite molte cose, ma non ora).

Nel suo massimo punto di espansione, il Califfato,  nato con i quattro califfi ben guidati (Rashidun) eredi di Mohammed alla guida della Umma, lungo le dominazioni omayyadi ed abbaside, si trovò a occupare una larga parte di Paesi insistenti tra il medi oriente, l’Africa e il mediterraneo.

Al Andalus rimane non un sogno proibito, ma una necessità storica di ristabilire le linee di confine originarie del Califfato.  L’attuale ISIS vive e ancora sopravvive nell’idea romantica della propaganda martellante sulla sua storia e sulla inevitabile riconquista islamica dei territori che gia una volta Allah avrebbe concesso al suo popolo, e che per volontà divina dovranno senza meno rientrare nel possesso musulmano.

Questo elemento, unito ad una popolazione di fedeli che si avvicina al milione di unità, alla forte spinta salafita su questi territori, ha contribuito a creare una sorta di pentola a pressione che tra una imposizione violenta, tensioni e conflitti legislativi, ha portato alla violentissima frattura di ieri.

 

Tra attacco e messaggio, la duplicità del target

Insistiamo sbagliando a dare un significato occidentale a quanto è accaduto. Quello che leggiamo come attacco terroristico, e per il quale il gruppo dirigente ISIS prepara una rivendicazione con termini e sottolineature appropriate per i media occidentali, è per l’organizzazione nulla più che un evento –messaggio i cui destinatari non sono primariamente i governi colpiti.

Se mai, la vittima è un buon mezzo attraverso cui far viaggiare il sentimento del terrore e della paura.

La non prevedibilità, l’impossibilità di riconoscere anzitempo il nemico, l’assoluta alea per la quale ogni zona è potenzialmente oggetto di attacco in ogni momento. La follia che guida la mente di un invasato che si scaglia con una cintura esplosiva contro normali persone a passeggio, piuttosto che disarmato ma con un mezzo pesante tra le mani. Questo è il messaggio che è riservato all’Occidente. Il terrore.

E poi c’è l’altra faccia della medaglia.

Il messaggio divino di inevitabile vittoria del popolo musulmano, l’aura di grandezza e forza inarrestabile che guida il combattente in battaglia come novello martire per la grandiosità di Dio è paragonata alla capacità di sacrificare la propria vita in azioni che anche se non “a fuoco” sono ugualmente in grado di innalzare il fedele alla vicinanza a Dio. Ed ecco che il messaggio piu puro arriva cosi alla Umma, che ne assorbe completamente ed integralmente il succo.  Dio è con noi. Assorbe la paura dell’occidente, l’incapacità di reazione, la pervasione dei “martiri”, la assoluta sottomissione al credo senza filtri ne gradazioni. Assorbe il dilagare della mentalità combattente jihadista letta nel solo modo ritenuto virtuoso, quello del combattimento; Assorbe il ritrarsi dell’occidente e ne assorbe anche il masochistico arretramento, nella speranza che il silenzio e la mancata risposta corrispondano ad un “cessate le operazioni”, fraintendendo del tutto la lettura contrapposta che non vedendo alcun tipo di reazione, “vende” ai suoi accoliti una visione di società debole, imbelle ed incapace di sostenere una difesa, per cui destinata ad essere sopraffatta e guidata.

 

Senza sorprese

La popolazione occidentale dovrebbe cominciare a fare i conti con i propri Governi, una volta per tutte.

A dispetto di quanto i politici ed i governanti possano dichiarare sui giornali, nessuno di loro ha la volontà o la forza di imporre un pensiero chiaro e definitivo sulla questione musulmana e sulla presenza ormai acclarata ed a tratti abbondante in Europa di simpatizzanti, affiliati e foreign foghters (sia di comodo che di convinzione).

Perche il timore è grande. Ed è chiaro come non essendoci una neppure vaga idea di difesa comune nessuno è al sicuro. Ci si riempie la bocca parlando di Stati Uniti d’Europa, ma non siamo in grado di organizzare una risposta ad un attacco portato alla nostra porta di casa in modalità diversa da quella militare ufficiale, con tanto di dichiarazione di guerra.

Non siamo in grado di capire che in guerra ci siamo dal 2002, a momenti diversi e per intensità stratificate. Nel numero uscito a Maggio del mensile Rumiyah, si descrivevano con estrema semplcità modalità di attentato e di presa di ostaggi in modo cosi semplice e diretto da essere comprensibile anche a un bambino. La descrizione di come fa scorrere il sangue, in quali condizioni di affollamento, in quali situazioni di aggregazione migliore, in che modo e con quale tecnica, sono riportate senza problemi. Non attenzionarle al punto tale da considerarle piu che delle ipotesi è stato un grande errore, essendo operazioni interpretabili non solo dal punto di vista militare (quindi con un gruppo organizzato di persone che sano operare anche a fuco), ma anche e piu semplicemente da un paio di ragazzi ormai giunti alla fase finale della radicalizzazione  indotta.

 

Chi ha paura della verità?

Stiamo fermi ad attendere la prossima mazzata sperando che però tocchi al vicino di casa, e non a noi che non abbiamo nulla da spartire.

Sbagliato.

Qua tutto è da perdere e faremmo bene a dare una marcia diversa alle nostre considerazioni.

Non è guerra al sistema religioso (e non conta di chi la porti contro a chi), ma della sopravvivenza stessa del nostro pensiero libero e laico. Il mondo dell’islam non ha conosciuto alcun momento di secolarizzazione. Non lo accetta come era impossibile da pensare anche a Roma prima che satana col cappello da bersagliere avanzasse su porta Pia (…Manfredi).

Ma attenzione, si badi bene che non è contro un sistema religioso che si porta avanti una discussione, bensi contro un sistema legislativo che ingloba anche le religione al proprio interno, insieme al diritto, all’etica, usi, costumi e prassi.

E’ questo il passaggio di rottura.

La frattura, insanabile, tra il sistema legislativo Islamico ed il sistema di libero pensiero Occidentale si consuma qua.

Nella impossibilità per il fedele musulmano di considerare “almeno ufficialmente” la possibilità che un dettato normativo scritto e prodotto dall’uomo sia superiore in valore a quello proposto da Dio, e quindi usato in sua alternativa. Questa, che per alcuni potrebbe suonare come bestemmia, è la leva che blocca il girare di ogni ingranaggio.

Ecco che diventa superfluo urlare cosi tanto all’integrazione necessaria ed obbligatoria; Se un comportamento è dal nostro punto di vista considerato come mero atteggiamento personale per il quale non si apprezza alcun elemento, dal punto di vista musulmano, lo steso comportamento potrebbe arrivare all’assurdo di prevedere una pena corporale o peggio. Ecco perche le questioni della comunità islamica vengono ancora oggi gestite non già dal giudice civile del Tribunale, ma da un  consiglio di anziani che delibera in nome del bene della virtù della comunità, seguendo le regole e lo stile medineo. Questo unito al mancato intervento della magistratura, e del legislatore in tal senso, indicano una strada di rinunzia al proprio interesse nazionale, cosa che da l’ultima necessaria autorizzazione al fedele ancora indeciso di considerare la sua presenza e il suo bagaglio di valori, superiori al nostro per definizione divina.

 

Soluzioni ce ne sono?

Sarebbe un inutile parlare però se non si fornissero le soluzioni immediate da applicare al caso concreto, che è macroscopico. Si è gia parlato ampiamente di albo degli imam con corsi in italia e predicazione in italiano. Di moschee ufficiali e messa al bando degli istituti da sottoscala o improvvisati.

Ma vi è ancora un ostacolo culturale che anche se silente, è ben conosciuto da chiunque non si approcci in modo sciocco o “politico” a questa vicenda.

L’ostacolo in questo senso è che l’Europa vive di una molteplicità di diritti nazionali per i quali non sempre una norma è immediatamente organica al diritto vigente. Spesso ha bisogno di aggiustamenti, rivisitazioni, modifiche politiche.

Se volessimo fornire una base di partenza generale e comune a tutti, essendo scomodi e creando una vera questione al Governo, potremmo suggerire che se siamo al disastro è perché, per dirla come il prof. Sartori, abbiamo pensato di integrare l’Islam.

L’islam non è integrabile, e fino a che non incrocerà un percorso di secolarizzazione, che distacchi la fede dal diritto, non potrebbe trovare accoglimento nel nostro ordinamento, che puo e deve tutelare se stesso, e o può accogliere un secondo sistema di leggi e regolamenti sociali che un numero imprecisati di persone reputa superiore per applicazione al nostro dettato normativo.

La richiesta coraggiosa quindi dovrebbe essere quella di non accettare istanze di regolarizzazione sociale provenienti da chi non tollera ne tollererà mai sul nostro territorio una legge che non si ala propria. Un territorio una legge. Con buona pace dell’etica e della fede.

Non possiamo abdicare ai principi della democrazia e della libertà per paura di essere considerati razzisti, quando ad essere messo in discussione è invece il nostro complesso di norme ed istituzioni che regolano la nostra quotidianità.

I nuovi movimenti intellettuali dovrebbero anche considerare l’ipotesi di non dover continuamente far sentire l’Occidente come colpevole di qualcosa e comunque sempre in debito nei confronti di chi che sia. Soprattutto in confronto non già a entità geografiche distinte, ovvero Paesi, ma in questo caso popolazioni che non si distinguono per provenienza, lingua o colore, ma che sono accomunate solo dal carattere religioso.

L’islam moderno deve porsi la scelta se assecondare i tempi o arretrare nei suoi confini naturali, nella sua culla di nascita ed ivi restare a consumazione.

Oppure la garanzia in caso contrario è che prima o poi, bisognerà combattere di nuovo per riottenere e rivendicare diritti e territori, usi e libertà gia acquisite che verranno presto o tardi rimesse in discussione.

Ed è bene che per allora ci si faccia trovare pronti.

 

La vana speranza nei sistemi di Intelligence

Si è notato come molti analisti si siano soffermati sulla mancata collaborazione tra le agenzie di inteligence europee, il mancato scambio di informazioni, cosa che di fatto ha sottolineato come ci sia stato un fallimento interno del sistema Europa.

Mi permetto di dissentire. Nessun fallimento. Semplicemente perché nessuno scambia informazioni non essendo quella europea una formazione politica unitaria, ma competitiva e singolare.

Non vi son ragioni per le quali informazioni che vengono registrate da uno Stato debbano necessariamente essere girate a tutti i Paesi membri a prescindere.  E nessun Paese si affannerebbe, se non in caso di estrema necessità, a fare richieste a Paesi terzi di informazioni specifiche, a meno di non significare falle o inadempienze o semplicemente incapacità a provvedere da se alla propria sicurezza.

L’intelligence italiana la piu forte d’europa? No. Ma nemmeno la piu scarsa. Gli spagnoli hanno messo a segno moltissime operazioni antiterrorismo su spinta dei servizi, e comunque il Paese ha pagato la sua parte.

Questo significa che non è per merito o per colpa dell’intelligence se qualcosa accade o meno. Il lavoro, spesso anche per vie che non sono quelle codificate e previste nei disciplinari, viene fatto, con attenzione e scrupolo nelle misure che soo permesse da due cose: legge e soldi…perche dei secondi ne servono tanti per alimentare un settore dove le informazioni di superficie sono cosi tante e cosi varie che per arrivare alla verifica necessita tempo e persone, e spesso le seconde non sono sempre animate da principi patrii.

E poi vi è anche da aggiungere che tra Paesi non sempre vi è convenienza a far conoscere informazioni riservate. Spesso è un gioco di dare e avere, di simpatie e antipatie antiche, di voglia di voler vedere qualcuno che viene a bussare col cappello alla porta.

 

Vincenzo Cotroneo

Analista

Ricercatore presso il Laboratorio di Intelligence Università della Calabria

Docente di Islamistica al Master in Intelligence


domenica 21 maggio 2017

Non fare la fine del rospo!!!

Se prendi un rospo, lo metti dentro una pentola con l'acqua e lo porti sul fuoco, osserverai una cosa interessante: il rospo si adatta alla temperatura dell'acqua e rimane la dentro e continua ad adattarsi all'aumento di temperatura, però quando l'acqua arriva al punto di bollire il rospo vorrebbe saltare fuori dalla pentola ma non riuscirebbe perché è troppo stanco a causa degli sforzi che ha fatto per adattarsi alla temperatura. Alcuni direbbero che ciò che ha ucciso il rospo è stata l'acqua bollente ... ciò che ha ucciso il rospo invece è stata la sua incapacità di decidere quando saltare fuori.

Perciò smettila di adattarti alle persone sbagliate, rapporti abusivi, amici parassiti e tante altre situazioni che ti "scaldano". Se continui ad adattarti purtroppo corri il rischio di "morire" dentro. Salta fuori finché sei in tempo. (CIT.)

Mantieni i tuoi pensieri positivi (Gandhi)

 
              
                 

giovedì 4 maggio 2017

Un'Italia che affonda

In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi decenni del Ventesimo Secolo che avevano visto un progresso e soprattutto un benessere che aveva coinvolto buona parte dei ceti sociali, in particolare quello della classe media italiana, composta da impiegati, manager, tecnici, ricercatori, piccoli imprenditori, liberi professionisti, professori, ecc…Oggi purtroppo questa grossa fetta di popolazione si trova giorno dopo giorno in grosse difficoltà: continua a subìre una continua perdita del potere d’acquisto, oltre alla perdita del lavoro, ad una flessione dei fatturati delle proprie attività imprenditoriali, o nella maggior parte dei casi alla chiusura dell’attività. Le cause principali di una simile realtà sono la depressione economica mondiale con conseguente crollo del potere d'acquisto e l’elevato carico fiscale accompagnato allo stesso tempo da un bassissimo livello dei servizi sociali. Perdere il lavoro, in un mercato come quello italiano, rappresenta nella maggioranza dei casi, in special modo al Sud, un autentico dramma, per le difficoltà di ritrovare una nuova occupazione, in molti casi, con minori tutele e con uno stipendio più basso. In questo contesto, purtroppo, il riconoscimento del merito, nello specifico delle reali capacità di un individuo di svolgere un lavoro, con impegno e con professionalità, rappresenta un criterio tenuto in considerazione solo in una minoranza di piccole, medie e grandi aziende, ben gestite, da veri imprenditori e dirigenti d’azienda. I manager, continuano ad essere i lavoratori tra i più penalizzati, in quanto, perdere la posizione di responsabile aziendale, in particolare per soggetti a volte già cinquantenni, in pratica, significa restare senza lavoro per mesi o anni, o di ‘accontentarsi’ di qualche giornata, o settimana, di lavoro come co.co.pro., con limitate tutele, con retribuzioni vergognose, indegne di un Paese civile e democratico.

Ed a tutto questo bisogna aggiungere poi che la classe politica o, come li definisco io, i politicanti da quattro soldi, la vera feccia della nostra società come dimostrano le molte indagini, continuano a saccheggiare le casse dello Stato italiano, il denaro dei cittadini italiani, per importi di decine di miliardi di euro ogni anno! Povera Italia!!!

                       
  

lunedì 17 aprile 2017

Ho scoperto una nuova passione

Tanti anni fa, per l'esattezza fine anni novanta, mi sono fatto trascinare da una passione che sognavo da giovanissimo ma che non ero mai riuscito a coltivare: le moto, e precisamente le moto da enduro.
Quello che avevo mantenuto sopito per tanto tempo, riuscii a soddisfarlo in pochi anni: cavalcai le migliori moto da fuoristrada, scoprii la natura del nostro bellissimo territorio con uscite spericolate tra panorami mozzafiato, strinsi amicizie ancora oggi saldissime e mi cimentai anche agonisticamente in qualche gara. Come tutte le mie passioni controllai anche questa con la mia spiccata razionalità, e considerate le esasperazioni e la piega che stava prendendo, pago dell'esperienza maturata, abbandonai quel mondo e passai a più tranquille moto naked di cui ancora oggi ne possiedo un modello. Rimasi sempre affascinato da quell'aspetto avventuroso che caratterizzava le uscite in fuoristrada e spesso pensai di fare ritorno, di rimettermi in sella ad una KTM piuttosto che ad una Yamaha, mi mancavano i sentieri, i ruscelli, i sottoboschi e le vette. 
Negli ultimi anni molti amici si stavano dedicando alla disciplina della Mountain Bike e mi solleticava l'idea di cimentarmi: da un lato volevo rimettermi in gioco, dall'altro temevo le difficoltà fisiche non avendo un allenamento adeguato. E infatti, quando presi la decisione di acquistare la mia prima MTB mi scontrai con la fatica e la conoscenza limitata di questo sport. La tenacia e la forte passione che metto sempre nelle mie cose mi hanno portato a riuscire a stare presto al passo col gruppo e mi hanno fatto scoprire un mondo nuovo che ultimamente mi mancava e stavo sinceramente cercando.
Uscire in bici è diventata un’evasione, togliersi gli abiti di tutti i giorni e quindi anche le preoccupazioni, i doveri e le magagne. A volte, però, diciamolo, fuggire, evadere non è eludere le difficoltà, ma è cercare il modo migliore per risolverle. La fatica e il senso di conquista che mi sta regalando la bici sbrogliano la matassa dei pensieri e tornati a casa siamo più felici e anche un po’ più sereni. Quel piccolo o grande viaggio che si fa in bici non sono tanto i km che passano sotto le ruote, quanto l’allontanarsi con la testa da casa. O dalla propria zona di comfort, di routine, di abitudine, insomma, in quella zona dove tutto è noto e più o meno certo. “Perditi e poi ritorna” è un concetto chiave per chi va in bici.
Ogni uscita è una piccola avventura che ha le dimensioni del tuo coraggio e della tua ambizione.
Ne bruci di calorie quando pedali…Ne fai di fatica, in salita e in discesa, chilometri, salti, saltelli, derapate, cadute e via dicendo. Fisicamente migliori e la salute ringrazia. E alla fine termini l'uscita in gruppo con gli amici a scherzare e a ripercorrerla davanti a un panino o a una birra, magari fai tanti sacrifici aspettando questo momento... e ti rendi conto che anche ciò è il bello di queste esperienze.
Ho dunque scoperto una nuova passione... e mi sento bene!!!