domenica 18 gennaio 2015

... mentre il cappello continua una grande storia!

Quella del cappello è una vita lunga quanto quella dell’uomo che lo ospita da sempre sulla propria testa. Presente in tutte le civiltá è un simbolo dalle molte valenze culturali, sociali, individuali; influenza i codici comunicativi, rappresenta visioni del mondo, è metafora di creatività.

Nell’antico Egitto il faraone ricopriva la parrucca con un berretto rosso o una tiara bianca. In Mesopotamia erano diffusi turbanti o berretti di pelliccia, così come nell’antica Palestina i sacerdoti ebrei indossavano un cappello conico bianco. Se nell’età minoica le donne cretesi idearono forme varie e bizzarre, nell’antica Grecia e nell’antica Roma l’uso del cappello perse d’importanza.

Durante l’Alto Medioevo gli uomini indossavano un grande cappuccio, detto almuzio, che ricadeva sulle spalle. Nel 1300, quando andò in disuso, fu sostituito con berretti di varia foggia, anche se patrizi e nobili rimasero fedeli al cappuccio che si arricchì della foggia, una falda che scendeva fino alla spalla e, dietro, di una punta di panno detta becchetto, lunga spesso fino ai piedi. La foggia poteva cadere a destra o a sinistra a seconda della posizione politica e sociale.
Proprio il ‘300 diede le origini al cappello moderno ed il Rinascimento elevò questa usanza grazie alla sontuosità dei materiali e delle forme usati. Nel ‘500 troviamo in Europa, splendidi copricapi. Venezia, accanto al corno dogale, ebbe il copricapo di panno rosso fasciato di pelliccia e ricadente sugli omeri in nappe. Napoli vide i suoi gentiluomini con berretti di velluto o con cappelli piumati. Milano usò velluto turchino con penne bianche.
Col sopravvenire della dominazione spagnola si diffonde ovunque l’uso di trine, medaglie e piume ad ornare cappelli che con l’introduzione delle parrucche, più tardi nel ‘700, assunsensero dimensioni sempre più mastodontiche.

Il 1805 vede la nascita di quello che si è affermato come il cappello da cerimonia per antonomasia: il famoso cappello a cilindro del cappellaio londinese Herrigton.

Nel ‘900 nacque le bombetta. La leggenda narra che Edward Coke commisionò a James Lock & Co, il negozio di cappelli più famoso di Londra, un copricapo più adatto ai guardiacaccia: quelli indossati fino ad allora offrivano, infatti, una scarsa protezione dai rami di alberi. James Lock rimbalzò la commissione ai fratelli Bowler che realizzarono il famoso cappello nero al quale diedero il loro nome: in inglese la bombetta si chiama, appunto, bowler. Il negozio James Lock & Co. è ancora là, al numero 6 di St. James Street e ancora vende alcuni tra i prodotti inglesi più tipici, fra cui il fairway: il berretto da campagna in tweed, il più autentico cappello inglese per gli amanti del genere.

Una menzione a parte merita il cosidetto cappello da cowboy, tipico dell’abbigliamento dei fattori dei ranch nell’ovest e nel sud degli Stati Uniti, del Canada e del nord del Messico. Questo cappello fu universalmente reso famoso nel 1865 da John B. Stetson, il marchio di cappelleria americana che continua a esistere nel solco della tradizione. Oggi Stetson spazia dai più classici modelli sportivi a quelli eleganti di gusto dichiaratamente rétro, oscillando tra i due estremi del copricapo dell’avventuriero di fine ‘800 a quello del gentlemen di città.

Il cappello non solo cela il capo: indossandolo il volto muta aspetto in un gioco di ammiccamento, seduzione, provocazione che lo rende davvero strumento magico. Mettersi il cappello, togliersi il cappello, cambiare cappello: gesti che si compiono anche per assumere ruoli diversi, per cambiare la propria immagine e forse le proprie idee!

Cappellerie, negozianti e produttori custodiscono in questo senso la tradizione del cappello come complemento dell’eleganza maschile e femminile, indice di personalità e di un’antica galanteria messa a dura prova dalle mode globalizzate.


Lo stile inizia dalle calze...

Le calze di un uomo dovrebbero essere sempre pregiate e ben tenute. Quando un gentleman risparmia sulle calze lascia pochi dubbi all’interpretazione: è quasi sicuramente un avaro. Sono un accessorio importante e spesso un brutto interlocutore per gli uomini. Il problema è sempre lo stesso. Le calze vanno abbinate alle scarpe o ai pantaloni? La soluzione ottimale sarebbe non abbinarle a nessuno dei due capi. Comunque nel dubbio, e in presenza di una spiccata pigrizia, meglio abbinarle ai pantaloni e come dicono gli inglesi play it save!L’ideale però sarebbe trattarle come dei pezzi di abbigliamento indipendenti. Quindi abbinarle alla cravatta o a un colore che si trova nel disegno della cravatta, al fazzoletto da taschino o meglio ancora alla camicia. Ma nessuno vieta di sceglierle anche in tono con il colore degli occhi della propria moglie, o al colore dell’amata Jaguar. Basta un po’ di buon senso e il gioco è fatto.

Non bisogna mai dimenticarsi delle occasioni però. La sera sono di rigore le calze nere di seta con lo smoking, per un meeting di lavoro con ospiti di altre culture meglio scegliere calze dai colori semplici come blu scuro con abito scuro, grigio con abito grigio o burgundi con abito marrone. Ma se si va a una partita di polo si può osare e abbinare le calze alla divisa della squadra del cuore. Poi ci sono però degli errori da non fare. Primo: indossare sempre le calze, soprattutto in città, evitando di fare la figura da hipster dell’ultima ora. Anche se la moda del momento vede eserciti di scalzi con derby ai piedi quasi fosse una virus dell’aviaria. Mai portare calzini di spugna bianchi a meno che non si è Paul Newman o Michael Jackson (bellezza e talento allo stato solido). Scegliere sempre calze e non gambaletti, vale a dire quelle cose orribili che arrivano a metà polpaccio. Non scegliere filati poco pregiati e poco assorbenti perché prima o poi le scarpe si tolgono e guai a chi si trova vicino a voi! Mai sceglierle delle misura unica, si arrotolano sotto i piedi, sporgono dal tallone della scarpa se son troppo grandi, in pratica sono fuori luogo.